Diabete di tipo 2, ecco quali pazienti sono più a rischio infarto. Lo studio italiano

Tra i diabetici con cardiopatia ischemica è possibile identificare due sottogruppi con diversi meccanismi di malattia che richiedono diverse terapie.

La presenza o l’assenza di complicanze microvascolari potrà guidare i curanti ad una terapia preventiva personalizzata basata su una profilazione clinica del paziente con diabete tipo 2 più accurata. A fare la differenza è la presenza o meno di complicanze microvascolari. Parametro che potrebbe consentire di stratificare la popolazione diabetica prima della comparsa di un infarto e dunque guidare il medico alla migliore terapia preventiva, in maniera personalizzata. Questi sono i principali risultati di una ricerca italiana pubblicata su Cardiovascular Diabetology.

Il percorso per cui il diabete di tipo 2 arriva portare allo sviluppo di malattie cardiovascolare, come l’infarto, non è lo stesso per tutti i soggetti. Ad individuare due diversi gruppi di pazienti con diabete di tipo 2, che sviluppano negli anni due diverse tipologie di cardiopatia ischemica, sono stati Rocco Antonio Montone, Dirigente medico presso la Unità Operativa Complessa di Terapia Intensiva Cardiologica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Dottore di Ricerca in Cardiologia presso l’Università Cattolica e Dario Pitocco Direttore Unità Operativa di Diabetologia Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Professore Associato di Endocrinologia dell’ Università Cattolica.

Gli autori dello studio hanno arruolato 320 pazienti diabetici con cardiopatia ischemica, al loro primo evento coronarico e sottoposti per questo a coronarografia; in un sottogruppo di pazienti è stato utilizzato anche l’OCT, una specie di microscopio che consente di vedere ‘da dentro’ i dettagli della parete coronarica. I pazienti sono stati suddivisi in gruppi diversi a seconda della presenza o meno di complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetiche). Tutti sono stati inoltre seguiti nel tempo per registrare la comparsa di ulteriori eventi cardiovascolari maggiori (MACE). Lo studio ha dimostrato che i pazienti con complicanze microvascolari diabetiche tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da tante calcificazioni e dalle cosiddette placche ‘guarite’ (una sorta di ‘cicatrice’ che è indice di un infarto che stava per verificarsi, ma non è mai avvenuto). Al contrario, i soggetti senza complicanze microvascolari tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da grandi placche aterosclerotiche lipidiche. Al follow up, il gruppo di pazienti con microcalficazioni ha presentato un maggior numero di MACE, configurando in questo modo una popolazione con cardiopatia ischemica più suscettibile a ospedalizzazioni ripetute.
“I pazienti del primo gruppo – spiega il professor Pitocco – sono in genere più giovani, obesi, dislipidemici e con un diabete caratterizzato soprattutto dalla resistenza insulinica, più che dalla carenza. Nell’altro gruppo troviamo pazienti in genere più anziani, magri, con un pancreas che ha esaurito la sua funzione e che necessitano dunque di fare terapia insulinica. Analizzando la presenza o meno di complicanze microvascolari, abbiamo evidenziato la presenza di una correlazione tra complicanze microvascolari diabetiche e tipologia di aterosclerosi ed eventi cardiovascolari al follow up”.
“In questo studio – prosegue il dottor Montone – abbiamo evidenziato due categorie di pazienti: quelli insulino-privi con un diabete di tipo 2 di vecchia data, in terapia con insulina, più magri e con complicanze microvascolari, che alla coronarografia presentano un’aterosclerosi più diffusa e i pazienti più ‘metabolici’ con obesità centrale, con resistenza insulinica, in terapia con metformina, che fanno dei grossi infarti perché hanno delle placche ricche lipidi e più instabili”. Negli insulino-privi – prosegue – abbiamo trovato anche tante placche ‘guarite’ (healed), una sorta di rotture ‘abortite’, che non si sono manifestate clinicamente. Il paziente insulino-privo ha insomma maggiori meccanismi di stabilizzazione della placca sia attraverso il calcio, che con la fibrosi, che con le placche healed, rispetto al paziente insulino-resistente”.

“La medicina personalizzata – conclude il Professor Filippo Crea, Direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Pneumologiche, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Cardiologia dell’Università Cattolica – è l’obiettivo finale verso cui tende la medicina moderna. Questa è già realtà clinica per le malattie caratterizzate da una singola alterazione genetica. Lo studio pubblicato da Montone e Pitocco dimostra chiaramente che fra i pazienti che presentano diabete e cardiopatia ischemica è possibile identificare due sottogruppi con diversi meccanismi di malattia che richiedono diverse terapie: questa è la medicina stratificata”.

fonte: Doctor33

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Doctor33

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