Diabete di tipo 2, rischioso perdere peso a “yo-yo”

Nei pazienti con diabete di tipo 2 l’incremento del peso aumenta il rischio di complicanze, ed è lo stesso per chi va incontro a continue fluttuazioni ponderali.

Nei pazienti con diabete di tipo 2 l’incremento del peso aumenta il rischio di complicanze, ed è lo stesso per quelli sottoposti a misure di riduzione del peso che poi non riescono a mantenerlo stabile e vanno incontro a continue fluttuazioni ponderali. È quanto suggeriscono i risultati di un’analisi post-hoc dello studio ACCORD pubblicata sull’American Journal of Cardiology.

Il gruppo sottoposto a controllo glicemico nel trial ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes), che ha coinvolto oltre 10mila partecipanti con diabete di tipo 2, è stato sospeso precocemente a causa di un aumento imprevisto della mortalità nei pazienti sotto controllo glicemico intensivo. L’analisi appena pubblicata per la prima volta ne ha valutato i dati per esaminare la relazione tra il cambiamento del peso corporeo e gli outcome dello studio.

«Questa analisi conferma quello che tutti sappiamo, cioè che l’obesità espone i diabetici a un maggior rischio di complicanze e che bisognerebbe scoraggiare l’aumento di peso, ma evidenzia anche l’importanza di minimizzare le fluttuazioni ponderali, dato il loro effetto negativo», ha affermato l’autore senior Joseph Yeboah, del Wake Forest Baptist Medical Center di Winston- Salem, nella Carolina del Nord.

Le implicazioni di quanto osservato – fa presente Yeboah – prevedono di fare attenzione che i consigli dietetici che vengono dati ai pazienti non si trasformino in una situazione tipo “yo-yo”. «È una cosa positiva che il paziente diabetico perda peso, ma le continue fluttuazioni non fanno bene. È preferibile mantenere un indice di massa corporea (BMI) di 28 kg/m2 piuttosto che ridurlo a 25, poi farlo salire a 35 e ridurlo nuovamente».

Trattamento intensivo associato ad aumento del peso
Dei 10.251 partecipanti allo studio ACCORD, al basale 911 (8,9%) erano normopeso, 2985 (29,1%) erano sovrappeso e 6355 (62%) erano obesi. Il BMI medio, la variazione media del peso corporeo e quella durante lo studio erano rispettivamente 32,2 kg/m2, 0,1 kg e 3,4 kg.

Dopo un follow-up medio di 3,7 anni, nel 10,2% dei pazienti si è verificato un evento primario (infarto miocardico o ictus non fatale o morte cardiovascolare), nel 4,3% insufficienza cardiaca congestizia e nel 60,7% un evento microvascolare.

Complessivamente il 7,0% dei pazienti è deceduto per qualsiasi causa. I decessi si sono verificati nel 5% dei soggetti nel gruppo sottoposto a trattamento ipoglicemizzante intensivo rispetto al 4% nel gruppo sotto controllo glicemico standard.

In particolare l’analisi rivela che tutte le persone decedute durante lo studio appartenevano al quartile che aumentava maggiormente di peso (8,8 kg in media) durante i 3,7 anni di follow-up prima che lo studio fosse interrotto. Una precedente valutazione aveva rilevato che l’aumento di peso era maggiore, anche se non esclusivo, nel gruppo a trattamento intensivo rispetto a quello con controllo glicemico standard e che riguardava soprattutto i pazienti che assumevano insulina o tiazolidinedioni.

«Penso che possiamo affermare l’esistenza di una correlazione, ovvero che il braccio sotto controllo glicemico intensivo era associato ad aumento di peso, e quest’ultimo a esiti peggiori», ha osservato Yeboah. «Questo suggerisce una possibilità che l’incremento ponderale possa aver contribuito ai risultati scadenti che sono stati ottenuti in ACCORD. Abbiamo però bisogno di più dati per stabilire con maggior sicurezza se il trattamento ipoglicemizzante intensivo può favorire una aumento di peso e se questo ha valore predittivo per un certo tipo di esiti».

Esiti peggiori legati anche alle fluttuazioni di peso
Come spiegano i ricercatori «il nostro studio ha utilizzato i dati disponibili al pubblico dello studio ACCORD per dimostrare che nei diabetici non solo l’obesità è un fattore di rischio per complicanze, ma anche la fluttuazione ponderale, che si verifica spesso quanto viene prescritto di perdere di peso, può essere associata a un rischio più elevato di complicanze macro e microvascolari».

Dopo avere aggiustato tutti i fattori confondenti, la variabilità del peso corporeo è stata correlata a un aumento del rischio di un evento primario (HR 1,25), insufficienza cardiaca (HR 1,59), morte (HR 1,74) e eventi microvascolari (HR 1,18) (p<0,0001 per tutti).

E i partecipanti che erano normopeso al basale, ma erano nel quartile più alto di variabilità del peso corporeo dopo il follow-up, avevano un rischio quasi triplo di andare incontro a un evento primario rispetto a quanti erano obesi al basale ma rimanevano nel quartile più basso di variabilità ponderale (HR dopo aggiustamenti 2,91; p=0,007).

Gli autori sottolineano che ricerche precedenti hanno evidenziato che quando le persone perdono peso e poi lo riguadagnano, finiscono per avere più massa grassa e meno massa magra di quando hanno cominciato la dieta, anche a parità di peso.

«Questa è una spiegazione del motivo per cui le fluttuazioni ponderali sono dannose», ha affermato Yeboah. «Il nostro approccio deve essere personalizzato e non basta consigliare di perdere peso. Se il paziente è motivato a ridurlo e poi a mantenerlo va tutto bene, ma se continua a riacquistarlo è giusto che sappia che questo comportamento comporta dei rischi».

Davide Cavaleri

Bibliografia

Yeboah P et al. Body Mass Index, Change in Weight, Body Weight Variability and Outcomes in Type 2 Diabetes Mellitus (from the ACCORD Trial). Am J Cardiol. 2019 Feb 15;123(4):576-581

fonte:

PHARMASTAR

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