Diabete, i quattro studi top del 2019

Nell'ultimo anno la ricerca sul diabete ha meglio esplorato gli altri impatti negativi di una malattia che colpisce oltre 415 milioni di adulti in tutto il mondo e che può causare molteplici complicanze.

Nell’ultimo anno la ricerca sul diabete è andata oltre la semplice riduzione della glicemia e ha meglio esplorato gli altri impatti negativi di una malattia che colpisce oltre 415 milioni di adulti in tutto il mondo e che può causare molteplici complicanze.

I risultati ottenuti nei trial clinici dimostrano un cambiamento positivo nella gestione del diabete, secondo il parere del presidente della American Society of Endocrine Physician Assistants Ashlyn Smith. «Si è passati da un approccio incentrato sul glucosio al trattamento reale di tutti gli aspetti della malattia, quindi dalla riduzione dei livelli di emoglobina glicata e della glicemia al trattamento in toto del paziente».

Smith ha espresso riserve sull’importanza attribuita alla valutazione della HbA1c, perché si tratta solo una media dei livelli ematici di glucosio rispetto ai tre mesi precedenti. Questo vuol dire che anche se l’emoglobina glicata rientra in un intervallo soddisfacente, l’effettivo livello glicemico potrebbe avere raggiunto intervalli che aumentano i rischi di insufficienza renale o cardiovascolare e altri esiti avversi.
Ha anche citato i seguenti quattro studi come i più importanti del 2019, insieme ad alcune raccomandazioni che ritiene rilevanti.

Lo studio DECLARE-TIMI 58 (Dapaglifozin Effect on CardiovascuLAR Events — Thrombolysis in Myocardial Infarction 58)
Pubblicato a inizio anno sul New England Journal of Medicine, è il più grande studio che ha valutato i benefici cardiovascolari dell’SGLT2-inibitore dapagliflozin su oltre 17mila pazienti con diabete di tipo 2 con malattia cardiovascolare aterosclerotica accertata (41%) o con fattori di rischio multipli (59%) per una mediana di quattro anni

Risultati – Nel gruppo sottoposto alla terapia farmacologica si sono verificati il 27% in meno di ricoveri per insufficienza cardiaca rispetto al gruppo placebo. Lo studio ha inoltre suggerito che i pazienti trattati con dapagliflozin hanno manifestato una minore progressione della malattia renale. Infine, il farmaco si è rivelato più sicuro di quanto si pensasse in precedenza, senza un aumento del rischio di ictus, amputazione o fratture rispetto al gruppo di controllo.

Impatto – Dapagliflozin può migliorare gli esiti nei diabetici, contribuendo a ridurre il rischio di ricovero per insufficienza cardiaca negli adulti con diabete di tipo 2.

Lo studio CREDENCE (Canagliflozin and Renal Events in Diabetes with Established Nephropathy Clinical Evaluation)
Pubblicato a giugno sul New England Journal of Medicine, ha valutato canagliflozin come protezione contro la malattia renale, che si sviluppa in quasi la metà dei malati di diabete di tipo 2. Lo studio ha coinvolto 4.401 partecipanti ed è stato il primo su soggetti con diabete e malattie renale cronica. È stato interrotto anticipatamente per via degli evidenti risultati di efficacia.

Risultati – Canagliflozin ha ridotto del 30% il rischio di insufficienza renale nei diabetici di tipo 2 con malattia renale rispetto al gruppo placebo, evidenziando anche benefici cardiovascolari.

Impatto – Canagliflozin è la prima terapia in oltre 15 anni che ha dimostrato di poter aiutare i soggetti diabetici con malattie renali, rallentandone la progressione.

Lo studio REWIND (Researching Cardiovascular Events With a Weekly Incretin in Diabetes)
Pubblicato su The Lancet a giugno, ha esaminato l’effetto dell’agonista del recettore GLP-1 dulaglutide sui principali eventi cardiaci avversi nelle persone con diabete di tipo 2. Ha incluso i soggetti sia con che senza malattia cardiovascolare stabilita, ed è il primo studio importante su un farmaco antidiabetico ad aver incluso così tanti pazienti senza malattie cardiovascolari preesistenti.

Risultati – Tra i pazienti più anziani che assumevano dulaglutide, quasi il 70% dei 9.900 partecipanti aveva almeno 50 anni, è stata registrata una riduzione del 12% dei decessi per arresto cardiaco, infarti non fatali e ictus non fatali per più di cinque anni, oltre a benefici renali.

Impatto – Il trial aggiunge ulteriori evidenze a supporto dell’azione preventiva degli SGLT2 inibitori sui principali eventi cardiaci nelle persone affette da diabete di tipo 2.

Lo studio Closed Loop del National Institutes of Health-funded International Diabetes 
In questo trial pubblicato lo scorso ottobre sul New England Journal of Medicine, i ricercatori hanno testato un nuovo dispositivo per valutare se automatizzare il rilascio di insulina può migliorare la gestione dei livelli ematici di zucchero in chi soffre di diabete di tipo 1. Il dispositivo, denominato Control-IQ, si basa su un sistema di somministrazione di insulina a circuito chiuso (closed-loop) che combina un monitor continuo del glucosio e una pompa per insulina per regolare la somministrazione, limitando al minimo l’interazione richiesta al paziente. Lo studio ha confrontato questo dispositivo con una pompa per insulina potenziata da un sensore, che non è automatizzata e richiede un input da parte dell’utilizzatore.

Risultati – Dei 168 partecipanti di età compresa tra 14 e 71 anni, gli utilizzatori del sistema a circuito chiuso (112) hanno riportato un aumento significativo, dal 61 al 71%, nella quantità di tempo trascorso con il glucosio ematico nell’intervallo target (tra 70 e 180 ml/dl). Al contrario, quanti facevano uso della pompa per insulina potenziata dal sensore (56) non hanno superato il 59% del tempo all’interno dell’intervallo.

Impatto – Il dispositivo Control-IQ aumenta le opzioni per l’assistenza personalizzata e per ottenere migliori risultati a lungo termine nei malati di diabete di tipo 1.

Standard aggiornati per il monitoraggio continuo del glucosio
Anche se il monitoraggio continuo del glucosio è diventato più popolare grazie al miglioramento dell’accuratezza del sensore, il suo impiego clinico resta basso principalmente a causa di insufficienti raccomandazioni sui target glicemici da raggiungere. Al congresso Advanced Technologies & Treatments for Diabetes del 2019, medici, ricercatori ed esperti di tecnologia hanno aggiornato gli standard per il monitoraggio continuo del glucosio, in particolare quanto tempo sarebbe opportuno trascorrere entro l’intervallo target di glucosio. Le raccomandazioni emerse dal confronto sono state approvate anche dall’American Diabetes Association e pubblicate a giugno sulla rivista Diabetes Care.

Risultati – La raccomandazione cardine è che i pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2 che utilizzano il monitoraggio continuo del glucosio rimangano entro l’intervallo target compreso tra 70 e 180 mg/dl (pari a un livello di HbA1c del 7%) per circa 17 ore al giorno. Le linee guida suggeriscono anche che chi ha il diabete di tipo 1 trascorra meno di un’ora al giorno al di sotto e meno di sei ore al di sopra del target. I diabetici di tipo 2 dovrebbero invece evitare di trascorrere più di 15 minuti al di sotto dei 54 mg/dl o più di 72 minuti al di sopra dei 250 mg/dl.

Impatto – Le raccomandazioni forniscono un modo per standardizzare il monitoraggio continuo del glucosio e integrare gli obiettivi HbA1c, un risultato che a sua volta dovrebbe migliorare il trattamento minimizzando il tempo trascorso con valori fuori target e influenzando le scelte relative all’assunzione di cibo e all’esercizio fisico.

 

Davide Cavaleri

 

Fonte: Pharmastar

fonte:

Pharmastar

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