Supplementazione con vitamina D per la prevenzione del diabete di tipo 2, ipotesi plausibile

Si ipotizza che bassi livelli di vitamina D siano correlati con una ridotta funzione della cellula pancreatica e con la resistenza insulinica.

Secondo i dati Istat del 2017, in Italia circa il 5.3% della popolazione totale (16.5% tra le persone > 65 anni) dichiara di essere affetta da diabete di tipo 2 (DM2). Tale patologia è una delle principali causa di morbilità e mortalità in Europa e la sua incidenza è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Per questo motivo, sono necessari approcci semplici, poco costosi e sostenibili, applicabili a livello di salute pubblica, per ridurre il rischio di sviluppare DM2 nei soggetti già affetti da pre-diabete (IFG – alterata glicemia a digiuno, IGT – ridotta tolleranza glucidica). «Negli ultimi anni si è ipotizzato un ruolo dell’ipovitaminosi D come fattore di rischio per lo sviluppo di DM2 e la supplementazione con vitamina D come potenziale intervento terapeutico nelle persone affette da pre-diabete» ricordano Vittoria Favero e Iacopo Chiodini, Uo Medicina Endocrino-Metabolica, Irccs Istituto Auxologico Italiano; Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università degli Studi di Milano. «È di recente pubblicazione una revisione della letteratura che ha riassunto gli studi osservazionali e gli studi clinici inerenti a questo tema, focalizzandosi sulle possibili criticità degli studi stessi. L’ipotesi che i livelli circolanti di vitamina D possano influire sullo sviluppo di malattia è biologicamente plausibile, dato che bassi livelli di vitamina D correlano sia con una ridotta funzione della cellula pancreatica sia con la resistenza insulinica (Bouillon R, et al. Endocr Rev 2008)».

Studi osservazionali. «Recentemente sono stati condotti in diverse popolazioni numerosi studi osservazionali longitudinali, che hanno evidenziato la presenza di un’associazione inversa tra i livelli circolanti di 25-idrossi-colecalciferolo (25OHD) e il rischio incidente di DM2» ricordano Favero e Chiodini. «I risultati di questi studi possono essere riassunti in queste tre metanalisi: 1) riduzione del 38% del rischio di sviluppare DM2 nei pazienti con i livelli di 25OHD più elevati rispetto alla categoria di pazienti con i livelli più bassi (Song Y, et al. Diabetes Care 2013); 2) il rischio di sviluppare DM2 è aumentato del 50% nei pazienti con livelli di 25OHD al quartile più basso rispetto a quelli nel quartile più elevato (Afzal S, et al. Clin Chem 2013); 3) pazienti con livelli di 25OHD < 10 ng/mL presentano un rischio aumentato del 22% di sviluppare DM2 (Ye Z, et al. Lancet Diabetes Endocrinol 2015). Il limite degli studi osservazionali è che non sono sufficienti per stabilire un rapporto di causalità». Molti fattori che influenzano i livelli di vitamina D, fanno notare gli specialisti, sono infatti già noti per essere fattori indipendenti per il rischio di DM2, come per esempio il peso corporeo; nel caso di pazienti obesi, la correlazione riscontrata tra deficit di vitamina D e DM2 potrebbe essere dovuta più all’obesità stessa che al deficit di vitamina D.
Studi clinici sperimentali. «Per eliminare questi fattori confondenti, sono quindi stati condotti diversi studi di intervento, per validare l’ipotesi che la supplementazione con vitamina D possa ridurre il rischio di sviluppare DM2 in soggetti a rischio (IFG o IGT)» spiegano gli endocrinologi. «In particolare, tre studi randomizzati in doppio cieco vs placebo sono stati specificatamente disegnati per valutare il ruolo della supplementazione di vitamina D in pazienti affetti da pre-diabete» (Jorde R, et al. J Clin Endocrinol Metab 2016; Pittas AG, et al. N Engl J Med 2019; Kawahara T, et al. BMJ Open 2016). L’outcome primario, riportano Favero e Chiodini, non è stato raggiunto in nessuno dei tre studi, in quanto il rischio di sviluppare diabete non era significativamente ridotto nel gruppo trattato con vitamina D rispetto al placebo. «Nonostante ciò» aggiungono «ci sono diverse considerazioni da fare: 1) tutti gli studi evidenziano con simili valori di HR un effetto favorevole del trattamento con vitamina D rispetto al placebo; 2) molti soggetti avevano livelli di 25OHD normali al basale e pertanto potrebbero non aver ottenuto un gran beneficio dalla supplementazione; infatti, analizzando lo studio di Pittas et al. si nota, invece, come il sottogruppo di pazienti trattati partendo da valori di 25OHD < 12 ng/mL avesse una notevole riduzione del rischio di sviluppare DM2 (62%, range 20-82%); 3) tutti e tre gli studi erano sotto-dimensionati per poter valutare effetti modesti, come quelli aspettati dalla supplementazione con vitamina D; di conseguenza, questi risultati dovrebbero essere considerati non conclusivi piuttosto che negativi; 4) una recente metanalisi (Zhang Y, et al. Diabetes Care 2020) ha analizzato i risultati provenienti da diversi studi su vitamina D e rischio incidente di DM2, rilevando una riduzione del 12% data dalla supplementazione nei pazienti con pre-diabete, non selezionati in base al deficit di vitamina D, unitamente a un aumento del 48% della probabilità di tornare euglicemici».

In conclusione, affermano Favero e Chiodini, «i risultati degli studi sono congruenti con gli studi osservazionali nell’evidenziare come la vitamina D abbia un ruolo, seppur limitato, nel modulare il rischio di sviluppare DM2. Tenendo conto che la supplementazione di vitamina D rappresenta un intervento terapeutico sicuro e di basso costo e considerata la numerosità della popolazione di soggetti a rischio di sviluppare la malattia diabetica, l’applicazione di una supplementazione con vitamina D potrebbe avere implicazioni positive nell’ambito della sanità pubblica».

J ClinEndocrinolMetab 2020, 105: 3721-3733. Doi: 10.1210/clinem/dgaa594.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32844212/

fonte: Doctor33

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Doctor33

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